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Società estere soggette alla 231 – La giurisprudenza propende per l’applicazione della legge

Uno dei temi più discussi nell’applicazione del D.Lgs. 231/2001 riguarda la possibilità di assoggettare alla giurisdizione italiana enti che nel nostro Paese non hanno alcuna sede, principale o secondaria.

Se da un lato l’articolo 4 del D.Lgs. 231/2001 stabilisce che, in presenza di determinate condizioni, di procedibilità e sostanziali, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche per i reati commessi all’estero, dall’altro lato il Decreto 231 nulla dispone per i casi in cui il reato sia commesso in Italia e coinvolga un ente collettivo avente sede all’estero.

La giurisprudenza oggi maggioritaria ritiene che gli enti stranieri operanti sul territorio italiano abbiano l’obbligo di rispettare le norme vigenti in Italia, con la conseguenza che il D.Lgs. 231/2001 diviene applicabile anche a loro, a prescindere dalla presenza sul territorio nazionale di una sede secondaria o di uno stabilimento. Peraltro, in applicazione dell’art. 6 del Codice penale, per attrarre la giurisdizione del giudice italiano è ritenuta sufficiente la realizzazione, sul territorio dello Stato, di una frazione della condotta delittuosa anche nel caso in cui la condotta stessa non sia assoggettata a sanzione penale nello stato di appartenenza; sulla scorta di tale principio, ad esempio, è stato ritenuto sufficiente il verificarsi in Italia della sola ideazione del delitto, successivamente realizzato all’estero.

Recentemente, questo orientamento è stato sposato dal Tribunale di Lucca (sentenza 222/2017)che ha affermato la responsabilità di alcune società estere per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, in relazione all’incidente ferroviario di Viareggio del 2009. Questo perché le società, pur non avendo né una sede né uno stabilimento in Italia, avevano concesso in locazione alle Ferrovie dello Stato i carri cisterna per il trasporto del Gpl (fuoriuscito a seguito del deragliamento del treno, cagionando l’esplosione di tre palazzine e la morte di trentadue persone).

Questa problematica porta con sé la necessità di occuparsi della responsabilità da reato nei gruppi di società. Nel silenzio del legislatore (i gruppi di società non sono menzionati tra i destinatari del Decreto 231), la Cassazione ha dedicato particolare attenzione all’individuazione di soluzioni volte a scongiurare il rischio di automatismi espansivi della responsabilità. Infatti, la giurisprudenza di merito – argomentando dal concetto di “interesse di gruppo” (un interesse, cioè, che prescinde dalla posizione delle singole società del gruppo ed è inteso in senso unitario) – aveva notevolmente dilatato la nozione di gruppo, fino a ricomprendervi qualsiasi forma di aggregazione tra società aventi cointeressenze o anche solo un legame minimo.

In sede di legittimità, invece, si è progressivamente affermata la necessità, ai fini dell’affermazione di responsabilità, che la persona fisica autore del reato ricopra una posizione qualificata nell’ente, ovvero abbia concorso alla commissione del reato presupposto, e che si procede ad un accertamento rigoroso dell’interesse e del vantaggio in relazione a ciascun ente. Tali princìpi emergono anche nella sentenza 52316/2016 con la quale la Cassazione ha precisato che la responsabilità della capogruppo o di una controllata non può discendere dalla mera presunzione di coincidenza dell’interesse di gruppo con quello delle singole società e che va verificata, in concreto, la sussistenza di un interesse o di un vantaggio per la società autrice del reato presupposto.

Fonte: Sole 24 Ore del 07/03/2018, Riccardo Borsari